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L’uso improprio delle nuove tecnologie, il problema del multitasking e l’overdose da social sono temi che abbiamo trattato sovente nella nostra comunità. A mio modesto parere ritengo che ciò sia stato fatto con lungimiranza, se non altro per i subdoli ma profondi effetti collaterali che tali mezzi inducono. Effetti che non di rado sfociano in patologie serie, vedasi il fenomeno dell’Hikikomori.

Vorrei apportare il mio piccolo contributo alla causa, segnalando uno dei film più emblematici del decennio scorso, che narra la genesi di tutto questo – The social network. La storia all’apparenza si snoda sulle vicende di Mark Zuckerberg, il fondatore di Facebook, ma l’intento del film è andare ben oltre questa premessa. Gli autori Fincher e Sorkin hanno preso la storia di una redditizia intuizione imprenditoriale, l’hanno infiocchettata con dialoghi caustici, una colonna sonora da ascoltare a palla e ne hanno fatto una raffinata parabola morale. L’assunto del film mira a rispondere a una semplice domanda: come è nato il fenomeno mediatico più influente dei nostri tempi? Ebbene, da una storia di amicizia tradita. Una storia di complicità fra nerd, i giovani e ambiziosi Mark Zuckerber ed Edoardo Saverin, conclusasi a suon di carte bollate, rancori malcelati e risarcimenti colossali. Paradossale ed emblematico dunque se si considera che il social, concepito per facilitare le relazioni, sconti come peccato originale proprio un’amicizia rinnegata.

Gli autori americani sanno come raccontarci queste storie; per quanto complessa, ipercinetica e brillante sia la materia trattata, la scompongono ai minimi termini riportandoci alla classicità della mitologia greca (gira e rigira stiamo sempre là), una spruzzata di mefistofelico e la buon vecchia ferita narcisistica, a fare giusto da contrappunto. Un intreccio secondario, ma non meno importante, è il rapporto fra il protagonista Mark Zuckerberg e la sua ex ragazza. Quando quest’ultima, estenuata dalle sue cattiverie lo mollerà definitivamente, l’unica cosa che il protagonista riuscirà a dire (per altro rivolgendosi all’amico tradito) sarà: “è venuta l’ora di espanderci”. Davanti a un bisogno frustrato il personaggio cercherà di colmare il vuoto con ulteriore bramosia, vanità e rapacità finanziaria. Una spirale distruttiva che trascinerà tutti verso la solitudine.

Ok, magari i fatti nella realtà andarono in maniera molto più anonima e meno eclatante; come detto, gli autori più scafati sanno abilmente usare certi paradigmi e archetipi per suscitare determinate emozioni in noi spettatori. Stiamo parlando di un film. Tuttavia, siamo sicuri che certe cose avvengano solo nella finzione? Con i dovuti distinguo e le dovute proporzioni direi proprio di no. Altrimenti perché ci occuperemmo dei danni che su scala globale stanno creando un uso immaturo e narcisistico di questi mezzi informatici? Il film si chiude con Zuckerberg circondato dai muri in plexiglass e dall’arredo freddo e asettico dello studio dei suoi costosi avvocati, ormai milionario e solo. Avanti a sé lo schermo del suo portatile. Osserva con curiosa apatia il profilo facebook della sua ex, la stessa che aveva definito una falsa seconda coppa C. Tentenna un po’, le chiede l’amicizia. Pensate che lei accetterà?

 

Daniele Dagostino