La scena inizia con il volto di una ragazza brunetta, lineamenti morbidi, guancia paffute, labbra turgide. La sua espressione è indispettita, non si direbbe essere quello della Madonna. Giuseppe invece è alquanto tracagnotto, lo sguardo decisamente inebetito. Il film è “Il Vangelo secondo Matteo”, l’autore è il controverso Pier Paolo Pasolini. Nel corso della storia nulla come l’arte è riuscito a trasmettere la spiritualità, a coloro che sono ben disposti. Lo avevano capito bene papi e vescovi, dal medioevo ad oggi, commissionando ad artisti di varie discipline opere inestimabili. Affreschi, sculture, partiture musicali sono stati e sono tutt’ora un formidabile veicolo di fede. Vivaddio lo Spirito soffia dove gli pare ed è capitato a un autore scomodo, ateo, quale è Pasolini, l’onere di consegnarci, nella storia recente, quella che è forse la versione cinematografica più autentica delle pagine evangeliche. Una versione aspra, con una messa in scena alle volte persino estraniante per i canoni estetici a cui siamo abituati. Il film, uscito nei cinema nel 1964, divise la platea cattolica ma significativamente trovò un estimatore in papa Paolo VI.

Anche per me, appassionato del genere, approcciarmi a questa opera non è stato così scontato. Ci sono espressioni artistiche con le quali si entra in confidenza a fatica ma che, se abbiamo pazienza, possono rivelare qualcosa di interessante, che arriva in profondità. Per esprimere l’indole umana ad assuefarsi alle brutture di questo mondo don Fabio Rosini usa un’immagine efficace: “se ci si abitua a bere il vino da due soldi nel tetra pak, un pregiato Brunello di Montalcino è probabile che ci disgusterà, perché non abbiamo sviluppato il gusto per apprezzarlo”. Questo concetto si può declinare nel campo morale, relazionale, sentimentale… A noi, in questo momento, ci interessa quello artistico. Per darvene un esempio vorrei sfruttare la pregevolezza insita nel film di Pasolini, limitandomi a dilatare con la narrativa i primi tre minuti del suo film. Dove eravamo… Maria è incinta e i pensieri sono assai! Giuseppe comincia a nutrire qualche dubbio sull’onestà della sua sposa diletta, lo sguardo piccato di Maria è tutto un programma. Si sente giudicata. La sua reazione non è così serafica come ci si potrebbe aspettare. La dinamica fra i due è molto contemporanea, Pasolini cala il Vangelo nel quotidiano. È la sua cifra stilistica. L’opera perde solennità, ma ne guadagna in autenticità. Giuseppe si avvia solo verso il paese, una Nazareth meravigliosamente riprodotta nella Matera rurale degli anni ‘60. Questa sua turbolenza interiore viene tradotta in suoni dal rumore martellante di un fabbro, da bambini che giocano facendo chiasso e altri indistinti echi ambientali. Questo pover’uomo è sopraffatto, le sue gambe non reggono, si accascia su una roccia, gli occhi si chiudono. D’un tratto irrompe un silenzio assordante. Nessuna melodia evocativa, neanche il fruscio delle foglie o il sibilo del vento. La scena diventa completamente muta, tanto da far ridestare Giuseppe dal suo torpore. Fra tanti suoni narcotizzanti è il silenzio a scuotere il nostro Giuseppe. A quel punto la Storia può cominciare.

 

 

 

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