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Borgovilla-Patalini, immagine del contemporaneo, di Matteo Losapio

Anche all’occhio più distratto, la zona 167 Borgovilla-Patalini, racconta della mutazione antropologica che sta vivendo la nostra epoca. Costruire un quartiere, infatti, non significa rispettare solo delle semplici norme comunali o regionali, ma fornire anche una percezione dell’ambiente in cui si vive e del pensiero che si manifesta fra i balconi e le rotatorie. Frequentando la zona Borgovilla e passeggiando in mezzo ai palazzi e alle strade, emerge subito una sensazione di imbarazzo che non sapremmo spiegarci. I grandi palazzi distanziati per favorire la luce e il riscaldamento naturale degli ambienti, visti dal piano terra suscitano una sensazione di impotenza, come formiche all’interno di una grande e complessa organizzazione di cui non ne siamo mai pienamente consapevoli. Bisogna raggiungere determinate altezze, salendo per i palazzi, per ammirare panorami e tramonti da fotografare comodamente da casa propria. E sono proprio quei paesaggi, favoriti dal distanziamenti fra i palazzi e l’altezza degli edifici, a trasformare la città in stati d’animo più o meno manifesti. Rimanendo, tuttavia, al piano terra ci accorgiamo che, passeggiando per il quartiere, la conformazione stessa degli edifici favorisce l’utilizzo dell’automobile piuttosto che della circolazione pedonale. I portoni rivolti verso l’interno e i garage puntati verso le strade esprimono questa fenomenologia dell’automobile, un uso facilitato dei veicoli per muoversi sia verso il centro sia verso la SS16bis. Perché il quartiere Borgovilla- Patalini non è solo una zona di espansione della nostra città, ma un punto di raccordo fra il centro e la SS16bis. E, in quanto punto di raccordo, contiene in sé tutte quelle peculiarità di quartiere sempre in movimento, di passaggio di auto, camion, biciclette elettriche. Non si tratta, dunque, di una valutazione morale del quartiere ma della riflessione sull’essere umano che vive all’interno di tale ambiente. Un’antropologia dell’essere umano in movimento, iperconnesso, fornito sempre e comunque di protesi, dal cellulare all’automobile che ne amplifichino la portata. Un essere umano sempre meno abituato a riconoscersi dentro un centro, dentro una comunità, dentro un dialogo personale con gli altri. È un quartiere in movimento, tipico del nomadismo del nostro tempo, di un essere umano che non riesce più a rimanere in un luogo che non subisca trasformazioni, anche complesse. Di un essere umano che si struttura per la provvisorietà, per il precariato sia a livello affettivo che lavorativo, in cui sembra scomparire la dicitura del per sempre. Baumann parlerebbe di modernità liquida e il prodotto urbano di questa modernità sono i quartieri come Borgovilla-Patalini, estremamente funzionali ma poco comunitari. Allora, è qui la nostra sfida come cittadini e come cristiani, quella di costruire comunità, intercettandone il bisogno insito in ogni persona e provando in ogni occasione a porre attenzione alla realtà che ci circonda. Senza arrenderci a ciò che è stato fatto, a ciò che non è stato fatto, a ciò che questo momento di pandemia ci ha fatto comprendere o ci ha fatto perdere. Perché appartenere ad una comunità parrocchiale intitolata alla SS. Trinità significa testimoniare che il nostro Dio è comunità di Padre, Figlio, Spirito Santo.